Il 25 aprile è la Festa della Liberazione e come preannunciato, ci sembrava doveroso in questo momento, nel nostro piccolo, riportare il senso della commemorazione ai giorni nostri.
Riteniamo opportuno ricordare perché sia da considerarsi essenziale e imprescindibile, per il bene di tutti, che l’Europa continui la sua azione a sostegno della resistenza Ucraina.
A tal proposito, il Partito Democratico si è da subito mosso compatto.
In particolare, si richiamano le inequivocabili parole del Segretario Enrico Letta, tratte da una lettera pubblica a Michele Santoro, di cui se ne cita uno stralcio:
“(….)”resistenza”. Il valore fondante della nostra Repubblica, il segno distintivo della vicenda della sinistra in Italia. La resistenza contro l’aggressore di un popolo che combatte casa per casa per la sua libertà. Che è anche la nostra libertà di cittadini italiani ed europei. Da un lato un esercito invasore, dall’altro un popolo invaso. Io sto con quel popolo. E il Pd è e sarà sempre dalla parte dei popoli oppressi(…)”
Per contestualizzare il significato del 25 aprile ai giorni nostri, abbiamo chiesto a Barbara Golini, impegnata da anni a mettere in guardia sul totalitarismo di Putin, nonché osservatrice delle dinamiche ucraine e testimone diretta della situazione alla frontiera polacco/Ucraina, una riflessione personale.
Ad Umberto Mastropietro, ex militare, con diverse esperienze sul campo, che scrive da anni per riviste specializzate, chiediamo invece di illustrare alcuni aspetti di strategia militaresu questo tipo di conflitto, in particolare sulle differenze tra le forze dispiegate e sul tipo di aiuti forniti dai Paesi occidentali ai resistenti ucraini.
Vi proponiamo due contributi da brividi. Un sentito ringraziamento ad entrambi.
Contributo di Barbara Golini
“Barbara Golini, docente di russo in scuole secondarie superiori dell’area di Stoccarda, dai tempi dell’URSS profonda conoscitrice della realtà russa, grazie a numerosi viaggi come diretta osservatrice in Bielorussia, ci racconta l’evoluzione della realtà Ucraina.”
“Il 25 aprile per noi italiani ha un valore profondo e ci riporta a mente i racconti dei nonni di un periodo buio della nostra storia e dell’inizio della liberazione.
Qualcosa che a me appariva sempre astratto e difficile da capire. La guerra ha lasciato nella mia famiglia, come in quella di molte altre, oltre a ricordi bruttissimi e profonde privazioni, l’assenza delle nonne.
Per me la mancanza delle nonne rappresenta la guerra.
Le mie nonne sono morte in guerra in due situazioni diverse, ambedue giovanissime. Una aveva 24 anni e l’altra 25, sono rimaste giovani per sempre e bellissime. Nella mia mente di bambina, cercavo sempre di immaginare come fossero e cosa pensassero. Il mio amore e la passione sin dall’infanzia per gli anni 40 e la musica di Marlene Dietrich, ho capito solo molto dopo, essere dovuta a loro. Attraverso questa passione, mi sentivo loro più vicina. Mi sono mancate tanto le mie nonne. E il vuoto lasciato dalla loro morte, anche in termini di equilibrio familiare, è stato recuperato solo dopo due generazioni.
Mia madre ci parlava sempre della sua mamma, attraverso i ricordi di sua nonna. In questi giorni, mia madre piange al telefono e ricorda d’improvviso le sensazioni di paura che aveva provato da bambina, lei era nata nel 40. Mentre alla tv guarda le immagini di una guerra, che ci è apparentemente piombata addosso, lei ricorda e ricorda i suoi pianti disperati, per la mancanza della mamma. Lo ricorda guardando le immagini di bambini in fuga, nei sotterranei, per le strade sotto le bombe. Le immagini di questa guerra, la lacerano e la riportano indietro nel tempo.
Per me questa guerra è tristezza, la tristezza che ho visto negli occhi dei miei amici più cari, la disperazione e la forza che ho visto nello sguardo delle due madri ucraine, che a Przemysl città della voivodina della Precarpazia, al confine con l’Ucraina, mi consegnavano (a me e allo zio dei ragazzi) i loro figli. Non posso dimenticare lo sguardo misto tra gioia per averli tirati fuori dalla guerra e tristezza per doverli lasciare andare. Le motivazioni per cui queste madri hanno affidato a noi i loro figli adolescenti sono da ricercare nell’amore per la famiglia e gli anziani.
Potrei raccontarvi del mio impegno costante a partire dal 2014 per la questione ucraina, del mio amore e passione per la Russia e la sua lingua e cultura, che insegno da 20 anni, ma preferisco raccontarvi lo sguardo di queste madri.
Poco prima di arrivare alla stazione di Przemysl, si sentivano le sirene antiaerei, alla stazione di Przemisl, si vedevano gli autobus da cui scendevano ordinati, dignitosi ed in silenzio, gli ucraini che fuggivano dalla guerra.
Un popolo che si difende è un popolo che combatte, un popolo che non si rassegna. Gli ucraini, dopo anni ed anni di storia di invasione e umiliazione, non lasceranno che il loro territorio venga conquistato senza combattere fino all’ultima goccia di sangue.
La resistenza ha oggi i colori della bandiera ucraina e la forza del suo popolo. Non si arrenderanno mai gli ucraini, perché sanno cosa li aspetta e sanno a cosa dovranno rinunciare, se dovessero cedere. La guerra è uno schifo! Ma le colpe in guerra non sono mai equidistanti. Per capire bene quel che accade e che è accaduto, bisogna leggere due libri per me importantissimi. La Politkovskaja e Gasparov. Loro, hanno intuito molto prima di tutti noi, chi era Putin e cosa avrebbe potuto fare al mondo. I partigiani ci hanno salvato, senza di loro nemmeno gli alleati ce l’avrebbero fatta, facciamo in modo che anche i ‘partigiani’ ucraini, salvino il proprio paese, comunque ormai distrutto.
Concludo con le parole di mia madre: ‘ormai, anche se ci sarà una pace, l’Ucraina avrà comunque perso un patrimonio, avrà perso tutto ciò che aveva. L’Ucraina sarà un paese distrutto da ricostruire per interno, la Russia no!’”
Contributo di Umberto Mastropietro
Umberto Mastropietro, ex militare, con diverse esperienze sul campo, scrive da anni per riviste del settore. Vive a Berlino, dove nel 2021 è stato eletto consigliere Com.It.Es.
“NON INVIARE ARMI ALL’UCRAINA SIGNIFICA AUMENTARE LE MORTI TRA I CIVILI.
Una vittoria russa sull‘Ucraina non porterà la pace ma un regime di occupazione con annessa guerriglia che sposterà il conflitto dalla linea del fronte a tutto il Paese.Probabilmente quindi si ripeterà la strage avuta in Iraq. Durante le operazioni di conquista di un Paese nemico colpire i civili non ha un interesse militare. Avvenuta l’occupazione invece il nemico non è più riconoscibile da uniformi e disposizione geografica (il cosiddetto fronte) e ogni civile diventa potenzialmente un nemico. Gli USA agiscono secondo la tattica “Search And Destroy”: Si avanza in profondità e individuata una minaccia, tipo una abitazione, questa viene circondata e poi rasa al suolo. Sistema usato ad esempio a Sadr City. I Russi invece operano in formazione di linea, tipo rullo compressore: se sospettano una minaccia in una abitazione, radono al suolo tutta la striscia di case che si trovano sulla direttrice di avanzata. Come fecero ad esempio a Grosny.
Durante una guerra combattuta, i civili sono “preparati”, si nascondono in cantina oppure scappano il più lontano possibile dal fronte. Durante un’occupazione invece abitano normalmente nelle loro case e quindi questi attacchi e rastrellamenti, di solito improvvisi, procurano necessariamente più vittime. Il numero maggiore di morti viene provocato dalla stessa presenza diffusa sul territorio delle truppe di occupazione, cosa necessaria sia per garantire le vie di comunicazione, sia per dimostrare la forza dell’occupante e sia per provocare lo scontro con gli insorti. Ciò porta a sparatorie continue, con armi da guerra che per loro natura hanno grandi gittate e possono trapassare muri a centinaia di metri di distanza, per non parlare poi della cadenza di fuoco. Un soldato spara 20 proiettili nel giro di 3-4 secondi. Una squadra in perlustrazione è formata da 15-20 soldati, che riversano dunque nel giro di pochi attimi migliaia di proiettili nella direzione dell’eventuale minaccia (si chiama “fuoco di saturazione”). Durante l’offensiva della seconda guerra del Golfo si furono circa 95.000 morti di cui 40.000 soldati. La maggior parte di questi furono uccisi da raid aerei e artiglieria. Durante l’occupazione che ne seguì ci furono 1.221.000 morti e feriti tra i civili e gli insorti. Modalità: 48% armi da fuoco; 20% autobomba; 9% bombardamenti aerei; 6% incidenti; 6% altre esplosioni.”